Meditazione Zazen

ZAZEN Praticare lo zen significa fare zazen (meditazione in posizione seduta). Per lo zazen hai bisogno di una stanza tranquilla. Arresta il flusso della mente e smetti di concettualizzare, di pensare, di osservare. Non sedere con l’intento di diventare un Buddha, perchè diventare un Buddha non ha niente a che fare con cose come sedere o giacere distesi. Non pensare. Dogen
Con la pratica di zazen si diventa consapevoli dell’aspetto impermanente dei pensieri, ci si sveglia dall’illusione di esistere come entità separate e ci si fonde nell’Universale, al di là dell’ego.
Alla base dello zen non c’è alcun testo dottrinale e nessuna spiegazione razionale, lo zen fa andare in corto circuito il ragionamento e gli atti banali della nostra vita, rimanda all’esperienza immediata dell’essere: ZAZEN (meditazione seduta). Lo zen non è una filosofia né una religione, ma un’esperienza diretta e totale, un modo di essere, un’arte di vivere. Nello Zen non c’è nulla di misterioso di complicato. La sua pratica è molto semplice, zazen: soltanto sedersi, imparare a conoscere se stessi ed abbandonare il proprio piccolo ego, trovare un modo d’essere in armonia con la nostra natura profonda. Abbandonando l’egoismo individuale ed imparando a mettere a riposo la mente, si può accedere al flusso eterno dell’attività e dell’energia ed alla vera coscienza intuitiva.
E’ la saggezza che accede alla saggezza dalla porta del silenzio e che va oltre il desiderio di profitto. Zazen è innanzitutto contatto con l’assoluto in noi stessi (la cosmicità è la natura intrinseca della mente), comprensione della nostra natura profonda. ZAZEN, seduti con le gambe incrociate, la schiena dritta la respirazione calma, il corpo e lo spirito unificati, senza spirito avido. Girando il proprio sguardo verso l’interno, ciascuno depone naturalmente i limiti dell’egoismo e fa direttamente l’esperienza del risveglio alla sua vera natura. La base della filosofia zen è il silenzio, è il Ku (il silenzio totale) che è la condizione originaria della natura umana. Praticare al di là di ogni oggetto è lo zazen più elevato; soltanto sedersi senza scopo. Durante zazen non si pensa anche se il subconscio si manifesta, si lascia passare, non si ferma il pensiero, non si trattiene. In questo modo la coscienza diventa illimitata infinita.
Regole universali per la pratica di Zazen
La via è fondamentalmente perfetta, assoluta, include tutto, permea ogni cosa. Come potrebbe mai dipendere da una pratica o da una realizzazione? Il Dharma è libero, privo di ostacoli. Perchè l’uomo deve compiere lo sforzo della concentrazione? In verità il grande corpo dell’uomo è al di là della polvere di questo mondo. Se è così perchè mai pensare che ci sia bisogno di un mezzo per toglierla? Esso non è mai lontano, non è mai separato da nessuno e da nessuna cosa. E’ sempre là dove esattamente siamo. A che serve girare a vuoto di qua o di là se vogliamo praticare? Se creiamo una separazione, per quanto piccola, sarà sufficiente a separarci dalla Via tanto quanto la terra dista dal cielo. Se discriminiamo continuamente tra scelte e rifiuti, per piccoli che siano, la mente si perderà nella confusione. Quando qualcuno pensa si aver compreso e si illude d’aver raggiunto il Risveglio intravedendo la Grande Saggezza che penetra tutte le cose, costui si è solo di poco avvicinato alla Via. La mente di questa persona diventa più chiara e nasce in lei il desiderio di dare la scalata anche al cielo. Ma questa persona è pur sempre solo all’inizio dell’esplorazione, si trova ancora solo in una zona di confine. Ancora non basta per penetrare la conoscenza della Grande Via dell’assoluta emancipazione.






e dei pensieri, ci si sveglia dall’illusione di esistere come entità separate e ci si fonde nell’Universale, al di là dell’ego.
SANSHIN: LE TRE MENTI In giapponese, Sanshin significa “tre menti”.
Dogen Zenji raccomandava che chiunque lavori a favore della famiglia del Buddha,(il Sangha), dovrebbe mantenere tre atteggiamenti mentali: Mente Magnanima (daishin), Mente Amorevole (roshin), e Mente Lieta (kishin).
DAISHIN [La Mente Magnanima] La realtà della vita a cui lo Zazen ci risveglia è in effetti l’atteggiamento dell’attivare e del vivere un sè che è soltanto sè, un ora che è solo ora. E’ l’atteggiamento dell’affontare qualsiasi cosa ci si presenti, a prescindere da ciò che può accaderci. Che vita ampia e sconfinata ci si schiude davanti! in genere passiamo il tempo a fare confronti e a discriminare fra questo e quello, guardandoci sempre intorno alla ricerca di qualcosa di buono. E questo ci rende inquieti e ansiosi su tutto. Finchè possiamo immaginare che esista qualcosa di meglio di ciò che abbiamo o che siamo, è naturale pensare che potrebbe esistere anche qualcosa di peggio. Siamo continuamente perseguitati dall’ansia che possa accadere qualcosa di male. Finchè fondiamo la vita sulla distinzione fra un meglio e un peggio non troveremo mai la pace assoluta per cui qualsiasi cosa accada va bene. E come un oceano o una montagna: calma e costante, ma pronta ad accettare e nutrire gli innumerevoli esseri e situazioni, senza distinzione. L’oceano è sereno perché accetta l’acqua di molti fiumi senza opporre resistenza.
ROSHIN [La Mente dei genitori] La mente affettuosa dei genitori è l’attività naturale della mente magnanima, con la quale operiamo per permettere al fiore della vita di sbocciare a ogni incontro. Nella misura in cui ci risvegliamo e viviamo come sè universale, lavoriamo nella direzione in cui tutte le cose sono vive. E poiché tutto ciò che incrociamo è la nostra vita, con l’atteggiamento o lo spirito secondo cui il nostro sè totale si prende cura della propria vita, cerchiamo di dar vita a tutte le cose, a tutte le situazioni, a tutte le persone, a tutti i mondi. Questa è la mente che accudisce, in giapponese Roshin, la mente del genitore che si prende cura del figlio.
KISHIN [La Mente gioiosa] Mente gioiosa non significa un senso di eccitazione per il realizzarsi di qualche desiderio. Al contrario è scoprire il proprio valore e la propria passione per la vita attraverso l’azione della mente dei genitori verso tutto ciò che incontriamo. Quando vediamo ogni incontro come la nostra vita e agiamo con lo spirito per cui ogni singolo incontro è il figlio di cui prendersi cura e occuparsi, scopriremo ardore, passione e gioia autentici nell’essere vivi. E’ qui che diventeremo davvero adulti. Qualsiasi Bodhisattva che aspiri a vivere la via del Buddha, senza eccezione, possiede le tre menti della magnanimità, della gioia e dell’affetto dei genitori. La Mente Lieta è la gioia che sorge dal profondo del nostro cuore, anche in mezzo alle difficoltà. Nasce dalla intuizione di zazen, della non separazione e della comunione profonda con tutti gli esseri.
Insieme, le tre menti costituiscono il fondamento di una comunità buddista. Quando sono radicati nello zazen, questi tre atteggiamenti mentali ci permettono di vivere e lavorare in armonia con gli altri in ogni momento.
Per praticare zazen è necessario un luogo tranquillo dove potersi sedere indisturbati. Non dovrebbe essere né troppo buio né troppo luminoso, tiepido in inverno e fresco in estate. Il posto per la seduta deve essere pulito e in ordine.
Possibilmente, una statua di shakyamuni buddha o Manjushri Bodhisattva dovrebbe essere posta nella stanza. In mancanza di questa può andare bene qualsiasi statua o dipinto di un Buddha o di un Bodhisattva. Se possibile, ornare l’altare con un offerta di fiori e bruciare dell’incenso.
Come prepararsi Evitare le sedute quando non si è dormito abbastanza o se si è particolarmente stanchi. Prima della seduta mangiare con moderazione ed evitare di bere alcolici.Lavarsi il viso e i piedi così da sentirsi rinfrescati.
Abbigliamento Evitare di indossare vestiti sporchi o abiti eleganti e costosi. È anche consigliabile evitare abiti pesanti. Che l’abbigliamento sia comodo e pulito. In Giappone, nei monasteri zen non si portano le calze nello zendo.
Posizione dello zafu Posizionare davanti a una parete un cuscino bene imbottito (zabuton) con sopra uno zafu. Sedersi con la base della colonna vertebrale al centro dello zafu di modo che la metà posteriore di questo resti vuota. Dopo avere incrociato le gambe, poggiare saldamente le ginocchia sullo zabuton.
Incrociare le gambe (1): posizione del loto completo (kekkafuza) Portare il piede destro sulla coscia sinistra e poi il piede sinistro sulla coscia destra. Incrociare le gambe in modo che le punte dei piedi e la parte esterna delle cosce formi un’unica linea.
Incrociare le gambe (2): posizione del mezzo loto (hankafuza) Posizionare il piede sinistro sulla coscia destra. Quando si incrociano le gambe, le ginocchia e la base della colonna vertebrale dovrebbero formare un triangolo equilatero. Questi sono i tre punti che reggono il peso di tutto il corpo. Nella posizione kekkafuza, le gambe possono venire incrociate secondo l’ordine inverso e in hankafuza si può anche sollevare una gamba.
Seduta Poggiare saldamente le ginocchia sullo zabuton, raddrizzare la parte inferiore della schiena, spingere le natiche indietro e le anche in avanti. Raddrizzare la colonna vertebrale. Accostare il mento e allungare il collo come se si volesse raggiungere il soffitto. Le orecchie dovrebbero trovarsi in linea parallela alle spalle e il naso in linea con l’ombelico. Dopo avere raddrizzato la schiena, rilassare le spalle, la schiena e l’addome, senza cambiare la postura. Mantenere la seduta diritta, senza piegarsi né destra né a sinistra, né in avanti né indietro.
Mudra cosmico (Hokkaijoin) Portare la mano destra, palma verso l’alto, sul piede sinistro e la mano sinistra, sempre palma verso l’alto, sulla palma destra. Le dita dovrebbero sfiorarsi appena con la punta. Questa posizione è chiamata hokkai-join (mudra cosmico). Portare la punta dei pollici davanti all’ombelico e staccare leggermente le braccia dal corpo.
La bocca Tenere la bocca chiusa, con la lingua contro il palato, dietro ai denti.
Gli occhi Tenere gli occhi leggermente aperti, guardando un punto verso il basso, con un’angolazione di circa 45 gradi. Senza concentrarsi su un punto particolare, lasciare che ogni cosa trovi posto nell’area visiva. Se si tengono gli occhi chiusi si rischia maggiormente di addormentarsi o di sognare ad occhi aperti.
Espirare completamente e poi inspirare (Kanki-issoku) Espirare ed inspirare profondamente e con calma. Aprire leggermente la bocca ed espirare in maniera dolce e lenta. Per espirare tutta l’aria dai polmoni, fare partire l’espirazione dall’addome. Chiudere perciò la bocca e continuare con una respirazione nasale normale.Questo è ciò che viene chiamato kanki-issoku.
Fare oscillare il corpo Portare le mani, con le palme verso l’alto, sulle ginocchia e fare oscillare la parte superiore del corpo da sinistra verso destra per alcune volte. Senza muovere le anche, muovere il tronco come se fosse un bastone che pende prima da una parte e poi dall’altra. In questo modo si allungheranno i muscoli dei fianchi. Si può anche oscillare in avanti e indietro. Inizialmente questo movimento dovrebbe essere ampio e diminuire man mano fino a cessare completamente con il corpo al centro in posizione diritta. Formare ancora una volta l’hokkai-join con le mani e mantenere una posizione retta e immobile.
Respirazione addominale Durante le sedute zazen la respirazione deve essere nasale e tranquilla. Non tentare di controllare il respiro. Lasciare che il ritmo sia naturale, in modo da dimenticare di stare respirando. Lasciare che i respiri lunghi siano lunghi e quelli brevi siano brevi. Non respirare rumorosamente.
Consapevolezza (Kakusoku) Non concentrarsi su nessun oggetto in particolare né controllare i pensieri. La mente acquisterà la calma in modo naturale una volta che la postura giusta verrà mantenuta e la respirazione si sarà stabilizzata. Quando vari pensieri vengono alla mente, non lasciarsi catturare né tanto meno combatterli. Non inseguirli, né fuggirli. Lasciare semplicemente i pensieri scorrere liberi, permettendo loro di andare e venire a piacimento. La cosa essenziale nella pratica zazen è il risveglio (kakusoku) dalla distrazione e dal torpore e tornare nella posizione corretta momento per momento.
Come alzarsi dopo la seduta Terminata la seduta zazen, fare un inchino in gassho, portare le mani, con le palme verso l’alto, sulle cosce, oscillare il corpo alcune volte, all’inizio leggermente e poi più intensamente. Fare un respiro profondo. Disincrociare le gambe. Muoversi lentamente, specialmente se le gambe sono intorpidite. Non alzarsi in piedi di colpo.
Se nella nostra pratica ci sforziamo di raggiungere una meta attraverso lo Zazen, fosse anche la meta del Satori, ci allontaniamo completamente dal vero Zazen e dalla vera pratica. Proprio perché viviamo la vita del sè universale, semplicemente pratichiamo e manifestiamo quella forza vitale. In questo senso risvegliare la mente del Bodhisattva e della pratica non dovrebbe essere un atteggiamento che muove verso una meta. Al contrario dovrebbe essere un atteggiamento di pura manifestazione della vita.
Attraverso lo zazen la mente viene smascherata in ogni suo aspetto e la persona impara ad arrendersi alla vita che accade attimo dopo attimo.
Il nostro linguaggio

Kodo Sawaki Roshi (1880 – 1965)
Nato da un famiglia poverissima, ultimo di sette fratelli, rimase presto orfano di entrambi i genitori, venne adottato da un giocatore d’azzardo professionista che svolgeva attivita illegali. Il contatto con il mondo dei diseredati iniziò molto presto e questo contribuì ad acuire il lui sensibilità ed umanità che caratterizzarono sempre i suoi insegnamenti. Nel 1896 venne accolto nel monastero Eihei-ji in cui si era recato con il desiderio di divenire monaco buddista. Nel 1897 fu ordinato monaco dal maestro Sawada Kōhō, da cui ricevette il Dempô (Trasmissione del Dharma). Per anni dimorò in diversi monasteri praticando lo zazen. Frattanto era scoppiata la guerra tra il Giappone e la Russia e il giovane vi partecipò finché una pallottola ferì seriamente alla lingua. Per riacquistare l’uso della parola passava molte ore a recitare Sutra tra il rumore delle cascate. Inseguito si dedicò interamente alla pratica e all’insegnamento dello zazen: la sua fama si diffuse e molti studenti iniziarono a praticare con lui. Intanto Kôdô cominciò a viaggiare ricorrendo tutti gli angoli del Giappone, dalle università ai quartieri malfamati, dalle grandi città ai piccoli villaggi di pescatori, tenendo conferenze ed organizzando ritiri nei quali lo zazen veniva praticato per più giorni consecutivi. Il suo peregrinare, da lui stesso definito “idō sorin”, il monastero itinerante, durerà quarant’anni, guadagnandogli il soprannome di “Kōdō-senza-casa”. Nonostante la sua fama e le cariche che gli vennero assegnate, mantenne uno stile di vita estremamente sobrio e semplice, cibandosi di solo riso e frutta, in profondo contatto con la natura. Nel 1963, l’età non gli consentì più i continui spostamenti compiuti sino a quel momento: lasciò quindi l’incarico all’Università Komazawa e ritirandosi ad Antai-ji. Nel 1965, poco prima di morire, ordinò il suo discepolo, Taisen Deshimaru Roshi.
Shûyû Narita Roshi (1914 – 2004)
Shûyû Narita Roshi : E’ il primo erede nel Dharma di Sawaki Kôdô (1880-1965), fu nominato 28° Abate di Todenji nella Prefettura di Akita, nel Nord del Giappone. Fedele e coraggioso testimone degli insegnamenti del Buddha, raffinato esempio di forza e di stile, lascia in Europa numerosi eredi – prima generazione dello Zen Sôtô europeo – con i quali fonda altrettanti Centri e Templi. L’incontro con i suoi futuri discepoli ed eredi inizia nell’estate del 1982, subito dopo la scomparsa di Taisen Deshimaru Roshi , primo Kaikyôsokan d’Europa (direttore di missione), nonché suo amico e condiscepolo. Nel 1984, con il Maestro F. Taiten Guareschi, suo primogenito europeo nel Dharma , promuove in Italia l’edificazione di Fudenji , altrimenti detto “Tempio dell’altrove nell’altrove del tempo”. Nel 1994 gli viene offerta la guida di Fudenji con l’incarico di Primo Abate e Fondatore.


Taisen Deshimaru Roshi (1914 – 1982)
Giunse dal Giappone in Europa, precisamente a Parigi nel 1967, La sua missione era in Europa insegnare lo Zen in Europa, come lui stesso dichiara nelle sua biografia: “Perché venni in Europa? Senza dubbio m’ispirai a Bodhidharma, che nel VI secolo dopo Cristo partì dall’India per andare in Cina a diffondere la Via dello Zen”. Deshimaru indicava nella mutazione irreversibile, l’accettazione del divenire, e nel non attaccamento, le condizioni che rendono possibile l’interpretazione di se stessi nella libertà. Voce rauca e profonda, sorriso luminoso: Deshimaru si immerse completamente, con passione e gratuitamente, nella grande saga della vicenda Umana. Durante i quindici anni trascorsi in Europa, indagò in tutte le direzioni (arte, calligrafia, filosofia, scienze cognitive, religione, sociologia,….) in modo originale e poliedrico, elaborando su diversi registri gli aspetti essenziali di un’esperienza millenaria, secondo una visione capace di una sorprendente consonanza con il vissuto esistenziale e storico-culturale dei suoi contemporanei europei. Le sue intuizioni e le sue ricerche riguardo ai rapporti tra scienza, religione e filosofia sono tuttora attuali. Incontrò migliaia di persone, note e meno note. Molti diventarono suoi discepoli. In tutta Europa favorì l’apertura di luoghi di pratica e nella Valle della Loira fondò il primo Grande Tempio d’occidente, La Gendronnière. Un giorno prese l’aereo e tornò da dove era venuto per curarsi il fegato. Morì in un letto d’ospedale e fu cremato. Nessuno lo rivide più. Una parte cospicua dei suoi insegnamenti è trascritta in numerose pubblicazioni in italiano, francese e giapponese.